COME È NATO IL DIGITAL NETWORK ACT

il processo legislativo più opaco del Decennio Digitale

Anatomia di un atto concepito nell’ombra

La storia del cosiddetto Digital Networks Act (DNA) è un esempio emblematico di come un ristretto gruppo di soggetti influenti e interessi privati possa spingere un sistema a sovvertire i principi che lo hanno guidato per decenni. E tutto ciò sta avvenendo non a causa del fallimento di quei principi fondanti—anzi, la loro pur incompleta attuazione ha già prodotto successi tangibili.

Questo cambiamento è alimentato, da un lato, dalla ripetizione incessante—attraverso potenti camere dell’eco—di affermazioni semplicistiche quanto indimostrate, ripetute così spesso da essere ormai percepite come verità indiscutibili. Dall’altro, è favorito dallo sfruttamento strategico di un contesto sociopolitico instabile, in cui le crisi esistenti vengono usate come trampolino per promuovere un’agenda precostituita.

La narrazione politica attorno al DNA è stata costruita ben prima che il nome Digital Networks Act emergesse nel dibattito pubblico. A partire dal 2022, un’azione di lobbying coordinata guidata da ETNO (European Telecommunications Network Operators’ Association, oggi Connect Europe), con il sostegno di grandi operatori di telecomunicazioni e di alcuni governi nazionali, ha iniziato a fare pressione sulla Commissione Europea affinché introducesse meccanismi che obbligassero i grandi fornitori di contenuti (i cosiddetti OTT) a pagare delle “network fee” (in Italia spesso definite “fair share”). Queste tariffe, secondo la narrazione proposta, dovrebbero contribuire a coprire i costi degli investimenti infrastrutturali. Sotto l’etichetta fuorviante di “fair share”, si cela in realtà un tentativo di riscrivere i principi di apertura e neutralità della rete, che da oltre vent’anni costituiscono il fondamento della politica europea in materia di Internet.

Il Commissario Thierry Breton ha avuto un ruolo centrale nella promozione di questa agenda. Nei suoi interventi pubblici nel 2022 e all’inizio del 2023—tra cui quello al Mobile World Congress di Barcellona nel febbraio 2023—ha apertamente invocato un nuovo quadro normativo che imponesse agli OTT di contribuire economicamente agli operatori di telecomunicazioni, favorendo al contempo l’emergere di “campioni industriali europei” nel settore. In quella fase, tuttavia, non esisteva ancora alcun processo legislativo ufficiale per il DNA: si trattava solo di un discorso politico volto a creare consenso attorno all’idea di cambiamento.

La svolta tattica è arrivata all’inizio del 2023 con il lancio della Consultazione esplorativa sul futuro del settore delle comunicazioni elettroniche e delle sue infrastrutture, condotta dalla DG CNECT. Presentata come un esercizio neutrale per raccogliere opinioni sull’evoluzione del settore, la consultazione era in realtà strutturata in modo da orientare le risposte verso la convalida della narrativa dei grandi operatori. Le domande su tariffe di rete, recupero dei costi e nuovi strumenti regolatori erano centrali. È importante sottolineare che in nessun punto la consultazione indicava che i suoi risultati avrebbero portato direttamente alla redazione di questa riforma radicale del settore, successivamente denominata Digital Networks Act.

Una volta chiusa la consultazione, il processo è passato da esplorativo a esplicitamente politico. Senza una valutazione d’impatto adeguata e senza una presentazione trasparente dei risultati, la Commissione ha annunciato che il DNA sarebbe diventato una delle principali iniziative legislative nell’ambito della strategia Digital Decade. Il DNA è quindi nato come costruzione ex post, giustificata dai risultati di una consultazione che non aveva mai formalmente previsto la sua creazione.
Il DNA è quindi nato come costruzione ex post, giustificata dai risultati di una consultazione che non aveva mai formalmente previsto la sua creazione. Questo rappresenta una deviazione dalle normali prassi legislative dell’UE.

Di norma, le iniziative di rilievo sono precedute da una valutazione d’impatto iniziale e da una roadmap formale che illustra chiaramente obiettivi e opzioni politiche. Nulla di tutto ciò è avvenuto con il DNA. La sua elaborazione è proseguita a porte chiuse, fortemente influenzata da documenti informali dell’industria, come il cosiddetto non-paper franco-tedesco, che invoca il consolidamento del mercato e l’allineamento delle politiche industriali. In nessun momento la Commissione ha offerto un forum aperto ed equilibrato per discutere i rischi che le politiche promosse dal DNA comportano per l’apertura di Internet, la concorrenza e la sopravvivenza degli operatori di piccole e medie dimensioni. Il processo è stato catturato dai grandi incumbent, con l’obiettivo di modellare un quadro normativo che rafforzi il loro dominio e marginalizzi il tessuto competitivo costruito in trent’anni di liberalizzazione delle telecomunicazioni in Europa.

Il DNA non è quindi il risultato di una ponderazione trasparente e democratica degli interessi in gioco. È il prodotto di un’ingegneria politica opaca, guidata dagli interessi di pochi a scapito dei molti. Se dovesse proseguire nella direzione attuale, altererebbe radicalmente l’ecosistema digitale europeo, concentrando il potere nelle mani di pochi oligopoli, soffocando l’innovazione e minando i principi fondamentali di apertura e concorrenza della rete.

Il DIGITAL NETWORK ACT non è stato richiesto dai cittadini europei, né da esperti indipendenti, né dagli operatori piccoli e medi che rappresentano la spina dorsale dell’innovazione europea. È stato progettato a porte chiuse, con l’obiettivo primario di proteggere una manciata di grandi telco e i loro finanziatori. Se l’Europa permetterà che questo atto venga approvato nella forma attuale, tradirà decenni di progressi verso un Internet aperta, competitiva e a misura di utente. La battaglia non è finita.  Spetta a tutti i difensori della rete denunciare questo processo, farsi sentire e assicurarsi che l’Europa non baratti libertà e diversità in cambio degli interessi di pochi monopoli consolidati.